Il “mondo bianco” della costa keniota si trova una trentina di chilometri a nord di Malindi.
Dopo la spiaggia dorata di Che Shale, oltre la base italiana del progetto aerospaziale San Marco, la vista dell’oceano sparisce e appaiono chilometri e chilometri di distese di sale.
Sale marino iodato, che più o meno, attraverso le industrie che si sono spartite questo tratto di costa, raggiunge tutto il Paese.
Qui il sale è dappertutto: ammonticchiato in piccole dune ai lati delle strade sterrate che creano labirinti a cielo aperto, in improvvise isole in mezzo all’acqua in cui passeggiano fenicotteri rosa, in enormi montagnole di roccia cristallizzata che verranno spalate e sistemate su vecchi ed instabili camion, per essere trasportate nella zona delle raffinerie.
Il paesaggio è lunare, spesso le bianche vasche si confondono con le nuvole all’orizzonte e il cielo fa fatica a staccarne i contorni.
Ma aldilà dell’innegabile spettacolo, il sale è anche nei volti e nei pensieri della gente della zona, anche donne molto giovani, che si recano a lavorare la mattina presto. Per loro il sale è una dannazione quotidiana, si mescola al sole per bruciare la pelle, si insinua nelle piaghe da fatica, si deposita sulle labbra mai sazie di acqua dolce. Non amano parlare del loro lavoro, i dipendenti delle saline.
Eppure sappiamo che, una decina d’anni fa, sono stati i primi dipendenti di tutto il Kenya a scioperare per protestare contro le pessime condizioni di lavoro a cui dovevano sottostare. Oggi le cose vanno un po’ meglio, ma la vita è la stessa nelle interminabili distese del “mondo bianco”. Sale che spacca la pelle e sole che la brucia.
Per un euro e mezzo al giorno. Magari si riesce a risparmiare qualcosa sul cibo, pescando mentre si fatica dei piccolissimi pescetti simili ad acciughe che daranno sapore a un piatto di polenta che non sempre può essere accompagnata con pomodoro e verdure.
Così tocca ritrovarsi anche il sale nel sapore del cibo.
L’Africa fa da sfondo a questa zona e, prendendo una delle strade formate dai muriccioli che dividono le saline, una dall’altra, si può arrivare a Robinson Island, un’isoletta dove la Natura torna a farla da padrona, tra mangrovie e sabbia, e dove si possono gustare buonissimi granchi.